L’ex allenatore di Ternana e Fondi, Sandro Pochesci, in esclusiva ai microfoni di TUTTOcalcioPUGLIA.com, ha ripercorso anche la sua parentesi alla guida del Bisceglie del presidente Canonico: il tecnico romano ha parlato delle difficoltà riscontrate in terra pugliese e del suo rapporto con Stefano D’Agostino, ex calciatore del Taranto, che ha lanciato calcisticamente in quel di Fondi, nella sua esperienza in terra laziale.
Quest’anno si è trovato alla guida dei nerazzurro-stellati: un’esperienza che non è andata nel verso giusto. Cosa non ha funzionato?
“Non ha funzionato perché, quando parli con delle persone, credi che siano uomini veri: il calcio era l’ultimo dei problemi. Sono subentrato ad un tecnico che, secondo me, stava facendo un ottimo lavoro ma i problemi reali erano altri: quando ci si mette contro la piazza e contro tutti, non si ha una lunga vita”.
La sua squadra ha raccolto, complice l’ostico calendario, solo 3 punti in 9 gare alla sua guida: tra queste, c’è il pareggio del “Massimino” contro il Catania. Cosa è mancato per fare il salto di qualità?
“La base di una squadra di calcio è la società: se manca la componente principale, i risultati non arrivano. Nel nostro cammino, abbiamo perso sempre di misura e, talvolta, anche per sfortuna. Abbiamo fermato la Paganese che, fino a quel momento, aveva vinto tutte le partite, raccolto un punto prezioso a Catania e poi perso col Bari per 3-0. Non comandano sempre i risultati: quando ci sono dei problemi interni e vengono fatte scelte sbagliate, vengono pagate a caro prezzo. Non si possono acquistare dodici giocatori stranieri che non conoscono il campionato italiano e farli giocare tutti assieme. Quella squadra, con quella rosa, poteva tranquillamente stare a metà classifica, se ognuno fosse stato in grado di rispettare i propri ruoli. Era una squadra volenterosa, ricca di giovani bravi e di prospettiva: sono mancati gli elementi fondamentali per fare bene in una gestione del club. Per me quella di Bisceglie è stata una bella esperienza: mi ha insegnato anche a relazionarmi, contemporaneamente, con diversi giocatori stranieri e non mi era mai capitato. C’erano giocatori come Montero che, una volta arrivato, faticava nel capire i movimenti offensivi: giornata dopo giornata, migliorava sensibilmente e riuscì a fare gol anche al Monopoli. Nelle prime nove partite, poi, il Bisceglie è stata la squadra che è riuscita a recepire più fondi anche grazie alla Legge Melandri: con l’impiego di diversi giocatori giovani, eravamo i primi in classifica in questa speciale graduatoria”.
Nella sua carriera da allenatore, ha avuto il merito di lanciare alcuni calciatori tra cui Stefano D’Agostino: che ricordo ha dell’ex fantasista rossoblù?
“Stefano, per me, era un giocatore fondamentale, insieme a Filippo Tiscione: a loro avevo promesso di portarli ovunque sarei andato. Per me, lui, è il numero 10 ideale: la squadra, per me, deve iniziare dal trequartista, è il fulcro del mio gioco. Lo acquistammo dal Terracina e diventò il capocannoniere della Serie D, eravamo ultimi in classifica e, per un punto, sfiorammo i playoff. L’anno dopo, con Tiscione e D’Agostino, avevo anche Meloni che, grazie anche alle sue giocate, divenne il giocatore più prolifico d’Europa dopo Jamie Vardy del Leicester di Ranieri. Quel Fondi che vinse a Taranto i playoff, col gol di Tiscione, era una squadra pronta anche per la Serie C: D’Agostino è un giocatore che può giocare in qualsiasi categoria, ci tenevo moltissimo a lui ma, poi, si è fatto trascinare dagli eventi. Ho cercato anche, nelle mie varie esperienze, di metterlo maggiormente a suo agio. Dopo un battibecco che ebbe col presidente, fui costretto a cederlo temporaneamente, insieme a Iadaresta, alla Lupa Castelli dove ebbe uno scontro con l’allora allenatore Di Michele: feci di tutto per riaverlo in rosa, lo portai anche in ritiro con me ed avrei voluto farlo esordire in Serie B. Purtroppo, poi, ho dovuto accettare alcune scelte societarie e fui costretto a rinunciare a Stefano: lui andò a Campobasso prima della sua esperienza al Taranto. Chi mette in discussione D’Agostino, secondo me, non capisce nulla di calcio: il suo modo di interpretare il calcio è unico. Ha tantissime doti: estro, fantasia, visione di gioco. È capace di fare delle giocate impensabili però poi, un giocatore come lui, va gestito: lui era ben voluto da tutti anche se, ogni tanto, eccedeva in qualche comportamento di troppo. È un giocatore che va capito: bisognerebbe costruire una squadra intera intorno a lui per far esaltare le sue qualità tecniche. Con Panarelli sembrava avesse trovato una stabilità, non capisco perché sia andato via da Taranto: probabilmente avrà avuto qualche problema all’interno dello spogliatoio o con il mister stesso. Non credo che sia stato mandato via per questioni tecniche. Posso ritenermi, comunque, un allenatore fortunato per avere avuto, in rosa, un giocatore talentuoso come Stefano”.
Autore: Christian Cesario / Twitter: @otherside1993
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